Capitolo 10 - L'accampamento degli orchi


Korgath riprese i sensi quando l'orco che lo portava sulle spalle inciampò su un'asperità del terreno. Lo sentì ruggire violentemente nella sua lingua orripilante, e rimettersi in marcia.

Sollevò la testa e notò che non si trovava più nella palude, bensì sulla pianura arida. Si stavano dirigendo verso la base della collina con la torre. Dall'accampamento, che adesso riusciva a scorgere, si innalzavano sbuffi di fumo.

Sentì un tuono rombare sordo. Non era un tuono vero, erano le magie folli che Attichus stava architettando sulla sommità della torre. Questa era adesso molto più vicina e terrificante di prima.

Avvertì subito dopo che le corde strette dalle mani per niente gentili degli orchi gli facevano male. Decise di non muoversi e di fingere di essere ancora svenuto. L'avvicinarsi all'accampamento gli dava un senso di terrore crescente. Sapeva, infatti, che gli orchi mangiano volentieri la carne umana. Non poteva muoversi, quindi tanto valeva lasciarsi trasportare da loro e risparmiare energie.

Dopo qualche minuto, entrarono nell'accampamento. Le tende di tela viste in lontananza avevano, da vicino, un aspetto ancor più deprimente. Gli orchi erano poco più di trenta in tutto, ma dietro la collina Korgath poté vedere i fumi di altri bivacchi. Vide orchi intenti ad affilare le armi, altri che si allenavano su fantocci di paglia e alcuni che giocavano a rincorrere delle galline mentre i compagni riscuotevano scommesse. Data la goffaggine tipica di quei mostri, le galline avevano quasi sempre il sopravvento, ma ogni tanto un orco riusciva a catturarne una e, tra il clamore del pubblico, la sollevava in aria e le spezzava il collo con un morso.

I catturatori di Korgath ormai avevano rallentato andatura e i vari orchi che incontravano strada facendo lanciarono grida di eccitazione. A quanto pare erano felici per il pasto che presto avrebbero consumato.

Arrivarono infine in una piccola spianata con un calderone fumante. Un orco alto e magro mescolava una brodaglia puzzolente con un mestolo improvvisato. Korgath venne gettato a una decina di passi dal calderone e l'orco che lo aveva trasportato gli mise un piede sulla schiena.

«Non provare a scappare» ragliò.

Il cuoco, se così lo si poteva chiamare, assaggiava di tanto in tanto il brodo, per poi tornare a mescolare.

Korgath cominciò a temere che lo avrebbero immerso in quel minestrone infernale, quando il suo guardiano si fece improvvisamente da parte. Un'ombra scura e immensa si posò sul ladro. Alzò gli occhi e vide un orco alto poco più di lui, robusto, con addosso una corazza di ferro e dall'aria poco amichevole.

«Bene bene» disse perfettamente nella sua lingua. «Non vedevo uno della tua razza da tanto tempo. Di solito tentano di scappare e si fanno ammazzare.»

Si grattò le zanne sporgenti e deformò il volto in un'espressione che in un essere umano sarebbe stata un sorriso sardonico. Aveva l'aria del gran capo e la sua armatura era diversa da quella degli altri. Forse era Troghart, il capitano degli orchi di Attichus. Korgath si ricordò che Keradas gliene aveva accennato.

«Dove lo avete trovato?» continuò nella lingua umana, quasi volesse che Korgath capisse bene.

«Nella palude» rispose l'altro orco.

«Legalo a quel palo. Tra un po' ce lo mangiamo.»

L'orco sollevò Korgath per la collottola e lo trascinò verso il palo. Korgath si sentì perduto. Pensò che non era stata una buona idea andare in quel posto.

Un altro orco grasso e calvo con un grembiule da macellaio stava affilando un coltellaccio arrugginito. Quando si accorse che Korgath lo stava guardando, ricambiò con un ghigno.

Una catena grigia e rugginosa era fissata alla parte superiore del palo e terminava con un anello. L'orco lo chiuse attorno ai polsi di Korgath ancora stretti dalla corda, facendogli ancora più male e lasciandolo legato con le braccia in su. A stento toccava il suolo con le punte dei piedi.

Troghart arrivò dopo qualche istante e diede un ordine nella loro incomprensibile lingua. L'orco-macellaio protestò, ma si tranquillizzò quando il suo capo gli mostrò il pugno chiuso all'altezza del grugno. Poi lanciò un'occhiataccia a Korgath e si allontanò.

«Non provare a crearmi problemi» disse l'orco guardiano in lingua umana. «Averti portato a zonzo per la pianura mi ha messo addosso una fame terribile. Ti mangerò davvero con gusto.»

L’orco cuoco stava dando gli ultimi assaggi alla poltiglia nauseabonda che ribolliva nel calderone.

Korgath deglutì a vuoto. La situazione era seria. Le braccia cominciavano a fargli male. La corda era stretta, ma per sua fortuna gli orchi non erano in grado di fare nodi troppo complicati, data la loro scarsa intelligenza. Inoltre, l'anello di ferro che gli stringeva i polsi aveva i cardini un po' deboli. Dopo aver valutato attentamente la situazione, capì che sciogliendo i nodi e spingendo i perni fuori sarebbe riuscito a liberarsi. Ma questo richiedeva tempo e lui non ne aveva molto.

«Spero che tu sia buono da mangiare, così ci toglierai il saporaccio orrendo di quella minestra» continuò l'orco guardiano.

Korgath si girò verso di lui meglio che poté. Raccolse un po' di coraggio e disse: «Parli della minestra nel calderone?»

«È fatta con salamandre bollite con radici secche. Ha un sapore tremendo, ma è meglio della fame. Tu da solo non ce la fai a sfamarci tutti. Sarai il piatto forte dopo la minestra. Un bell'umano crudo è proprio quello che ci vuole.»

«E la mangiate tutti quanti?» chiese ancora Korgath.

«Si» confermò l'orco.

«E ha un pessimo sapore.»

«Terribile.»

Il cervello di Korgath partorì improvvisamente un'ultima, disperata, pazzesca idea.

«Sai, io sono un buon cuoco, tra gli umani. Ho qui con me una spezia squisita. Forse vi interessa.»

L'orco sollevò le orecchie. «Una spezia?»

Korgath tentò di tener ferma la voce. «L'ho comprata al mercato di Sherimal. È un tipo di pepe mescolato a cannella. Molto buona.»

«Pepe e cannella?»

Korgath ricordava bene la predilezione degli orchi per quelle due spezie, così insistette. «Dei migliori. Per quanto possa essere cattiva la vostra zuppa, questa spezia potrebbe renderla dolce e saporita come miele. Vi piace il miele, vero?»

L'orco si leccò le labbra con la lingua nera e spessa. «Il miele, si.»

«Il sapore non è molto diverso. Che ve ne fate di un umano crudo quando potete gustare questo delizioso condimento? Dopo un solo boccone non riuscirete più a farne a meno.»

«Dove ce l'hai? »

Korgath indicò con il mento il sacchetto con l'Ardite che gli aveva dato Ongin.

L'orco protese la mano, strappò l'involto e cominciò ad armeggiare con i lacci che lo chiudevano. Korgath ricordò che il vecchio nano gli aveva detto che gli orchi si addormentano anche soltanto respirando l'Ardite, così lo prevenne. «È meglio che non lo apri.»

L'orco si fermò di colpo. «Perché?»

«Perde molto del suo aroma se viene esposta all'aria. Aperto il sacchetto, va messa subito nella pietanza, altrimenti perde tutto il suo sapore.»

L'orco lo guardò sospettoso, ma poi smise di tormentare i lacci e soppesò il sacchetto.

«Penso che ce ne sia abbastanza per tutti voi» disse Korgath, ma era più una speranza che un'affermazione.

L'orco girò sui tacchi e camminò verso il cuoco. Korgath li vide confabulare. L'orco guardiano lo indicò una volta, poi porse il sacchetto al cuoco. Questi fece per aprirlo, ma l'altro lo trattenne e gli disse qualche altra parola. Il cuoco corrugò la fronte senza sopracciglia e assunse un'espressione sospettosa.

Korgath sentì chiaramente il cuore perdere un colpo. La fronte gli si imperlò di sudore. Poi il cuoco aprì l'involto e ne rovesciò il contenuto direttamente nella minestra, fino all'ultimo granello.

Korgath tirò un sospiro di sollievo, sperando in cuor suo che il piano avesse successo.

Passò qualche minuto, poi il cuoco gridò una parola gutturale e una dozzina di orchi si precipitò immediatamente verso il calderone con i cucchiai di legno in mano. Korgath vide questa folla di mostri verdi e affamati che si avventava sulla zuppa con voracità bestiale e, mentre nessuno lo vedeva, cominciò ad armeggiare con i nodi. La sua esperienza di ladro gli aveva insegnato che è bene essere esperti nell'arte della fuga.

Vide Troghart avvicinarsi al calderone con aria risoluta e superba. Spinse via alcuni orchi e immerse la testa nella zuppa. Poi la tirò fuori e pezzi di radici gli rimasero attaccati alla faccia. Nel frattempo arrivarono gli orchi ritardatari, tra i quali anche il macellaio.

La zuppa fu finita in pochissimi minuti. Korgath non avrebbe mai pensato che gli orchi potessero mangiare con tale velocità. Nelle locande aveva visto uomini esausti dopo un lungo viaggio e mezzi morti di fame capaci di divorare un cinghiale in un batter d'occhio, ma la voracità disumana degli orchi li superava abbondantemente.

Mentre alcuni cercavano di raccattare dal fondo qualche goccia superstite di zuppa, la maggior parte si leccava le zanne. Il cuoco aveva un'aria ben poco soddisfatta. Si avvicinò al macellaio e i due borbottarono qualche parola. Korgath li vide mentre lo osservavano con rabbia. I nodi erano quasi del tutto allentati.

I due orchi si avvicinarono a lui, il macellaio con il coltellaccio arrugginito stretto in mano.

«La tua spezia non ha dato nessun sapore alla zuppa» ragliò il cuoco in un umano terribile.

«È perché voi orchi non avete il senso del gusto» rispose Korgath. Ormai aveva quasi sciolto i nodi, ma preferiva far finta di essere ancora legato.

«Adesso vedremo» aggiunse il macellaio mentre si avvicinava con il coltello, poi, senza alcun preavviso, chiuse gli occhi e crollò a terra addormentato. Il cuoco lo guardò cadere, cominciò a grugnire qualcosa nella loro lingua, ma cadde anch'egli a faccia in giù come una pera cotta.

Ben presto, anche gli altri orchi precipitarono in un sonno profondo. C'era chi russava, chi si muoveva, chi parlava nel sonno. Uno dopo l'altro, tutti crollarono sotto l'effetto dell'Ardite.

Il nano aveva ragione pensò Korgath, tirando un sospiro di sollievo.

Si liberò completamente dei legacci e, con una pressione dei pollici, sfilò i perni dai cardini facendo aprire l'anello di ferro. Con grande sollievo, sentì finalmente la circolazione delle mani e delle braccia ritornare normale. Sciolse anche i nodi alle caviglie, si avvicinò a cumulo di armi e scelse una grossa spada e un'ascia. Mise il fodero della spada dietro le spalle con una cintura e soppesò l'ascia. Era grossa e pesante. Passò il dito sulla lama e notò che era ben affilata.

Felice di essere finalmente armato come si deve, dimenticò con piacere il suo vecchio coltellaccio. Adesso, almeno, avrebbe potuto difendersi.

Mentre gli orchi russavano satolli, Korgath sgattaiolò indisturbato fuori dell'accampamento e si avviò verso la torre.

Al massimo in mezz'ora avrebbe coperto la distanza.

Il prossimo capitolo verrà pubblicato domenica prossima!

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